DIRITTO DELL'UE E INTERNAZIONALE - Giurisprudenza

Corte di Giustizia, 15.03.2012, C-135/2010, SCF

Musica nello studio dentistico: non c'è spazio per i diritti connessi?


Il caso 

SCF, collecting society italiana che rappresenta numerosi produttori fonografici, promuove un’azione contro uno studio dentistico per il mancato pagamento dell’equo compenso spettante ad artisti interpreti o esecutori e produttori fonografici per la comunicazione al pubblico di opere protette. Secondo SCF, in tale nozione rientra la musica di sottofondo trasmessa nello studio dentistico, il quale, però, sostiene il contrario.
La Corte di Giustizia risolve la questione.  

La decisione della Corte di Giustizia
Oltre alle fonti del diritto UE (direttiva 2001/29 e direttiva 92/100), i giudici europei richiamano le norme di diritto internazionale in tema di tutela del diritto d’autore e dei diritti connessi – l’Accordo TRIPs dell’OMC, i Trattati OMPI del 1996 sulle interpretazioni ed esecuzioni e sui fonogrammi e sul diritto d’autore, la Convenzione di Roma 1961, che costituiscono un riferimento interpretativo fondamentale.
La questione centrale trattata nella sentenza riguarda la nozione di comunicazione al pubblico. Da una parte, affinché ci sia un “atto di comunicazione” si deve valutare il ruolo dell’utente (il dentista, in questo caso). Dall’altra, si ha un pubblico se l’atto è rivolto a “un numero indeterminato di destinatari potenziali”, ossia “alla gente in generale”. Il pubblico è costituito solo da un numero “piuttosto considerevole” di persone, inteso anche in senso cumulativo (quante persone hanno accesso alla stessa opera in successione). Rileva, infine, il carattere lucrativo o meno della comunicazione al pubblico, come già affermato nella sentenza SGAE.
Concentrando il ragionamento soprattutto sulla nozione di “pubblico”, la Corte di Giustizia esclude che lo studio dentistico realizzi un atto di comunicazione al pubblico con la diffusione di musica di sottofondo: i clienti dello studio, infatti, sono un numero scarso, “quasi insignificante”, e benché si succedano, non sono destinatari degli stessi fonogrammi.
A differenza del caso delle camere d’albergo (vedi sentenza SGAE), inoltre, la diffusione di musica da parte del dentista non è idonea, di per sé, ad incidere sugli introiti dello studio, dove i pazienti si recano solo per finalità terapeutica e senza attribuire, secondo la Corte, alcun rilievo alla presenza o meno di musica di sottofondo: manca quindi, il carattere lucrativo della comunicazione. Non essendoci una comunicazione al pubblico ai sensi delle direttive 92/100 e 2001/29, dunque, nessun equo compenso è dovuto ai produttori fonografici.   

Perché questa sentenza è importante?
Nonostante la risposta negativa della Corte, la sentenza non nega che la diffusione di musica in uno studio professionale privato costituisca un atto di comunicazione. Anche per tale motivo, il ragionamento incentrato in prevalenza sul concetto di pubblico è più criticabile: come si identifica la “soglia de minimis” al di sotto della quale per la Corte manca un pubblico? Non è forse pubblico la folta clientela di un moderno e organizzato studio professionale, dentistico o di altro tipo, in cui la musica di sottofondo migliora lo standard del servizio prestato?
Molti restano gli interrogativi e ancor più di fronte alla tendenza estensiva attuale della Corte di Giustizia, che ha ritenuto sussistenti “atti di comunicazione al pubblico” in ipotesi ben più articolate (vedi ad esempio The Pirate Bay e Filmspeler).
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