Il caso SCF, collecting society italiana che rappresenta numerosi produttori fonografici, promuove un’azione contro uno studio dentistico per il mancato pagamento dell’equo compenso spettante ad
artisti interpreti o esecutori e produttori fonografici per la comunicazione al
pubblico di opere protette. Secondo SCF, in tale nozione rientra la musica di
sottofondo trasmessa nello studio dentistico, il quale, però, sostiene il
contrario.
La Corte di
Giustizia risolve la questione.
La decisione
della Corte di Giustizia
Oltre alle fonti
del diritto UE (direttiva 2001/29 e direttiva 92/100), i giudici europei
richiamano le norme di diritto internazionale in tema di tutela del diritto
d’autore e dei diritti connessi – l’Accordo TRIPs dell’OMC, i Trattati OMPI del
1996 sulle interpretazioni ed esecuzioni e sui fonogrammi e sul diritto d’autore,
la
Convenzione di Roma 1961, che costituiscono un riferimento interpretativo
fondamentale.
La questione
centrale trattata nella sentenza riguarda la nozione di comunicazione al
pubblico. Da una parte, affinché ci sia un “atto di comunicazione” si deve
valutare il ruolo dell’utente (il dentista, in questo caso). Dall’altra, si ha
un pubblico se l’atto è rivolto a “
un
numero indeterminato di destinatari potenziali”, ossia “
alla gente in generale”. Il pubblico è
costituito solo da un numero “
piuttosto
considerevole” di persone, inteso anche in senso cumulativo (quante persone
hanno accesso alla stessa opera in successione). Rileva, infine, il carattere
lucrativo o meno della comunicazione al pubblico, come già affermato nella
sentenza SGAE.
Concentrando il
ragionamento soprattutto sulla nozione di “pubblico”, la Corte di Giustizia
esclude che lo studio dentistico realizzi un atto di comunicazione al pubblico
con la diffusione di musica di sottofondo: i clienti dello studio, infatti,
sono un numero scarso, “
quasi
insignificante”, e benché si succedano, non sono destinatari degli stessi
fonogrammi.
A differenza del
caso delle camere d’albergo (vedi sentenza SGAE), inoltre, la diffusione di
musica da parte del dentista non è idonea, di per sé, ad incidere sugli
introiti dello studio, dove i pazienti si recano solo per finalità terapeutica
e senza attribuire, secondo la Corte, alcun rilievo alla presenza o meno di
musica di sottofondo: manca quindi, il carattere lucrativo della comunicazione.
Non essendoci una
comunicazione al pubblico ai sensi delle direttive 92/100 e 2001/29, dunque,
nessun equo compenso è dovuto ai produttori fonografici.
Perché questa
sentenza è importante?
Nonostante
la risposta negativa della Corte, la sentenza non nega che la diffusione di
musica in uno studio professionale privato costituisca un atto di
comunicazione. Anche per tale motivo, il ragionamento incentrato in prevalenza
sul concetto di pubblico è più criticabile: come si identifica la “soglia de minimis” al di sotto della
quale per la Corte manca un pubblico? Non è forse pubblico la folta clientela
di un moderno e organizzato studio professionale, dentistico o di altro tipo,
in cui la musica di sottofondo migliora lo standard del servizio prestato?
Molti
restano gli interrogativi e ancor più di fronte alla tendenza estensiva attuale
della Corte di Giustizia, che ha ritenuto sussistenti “atti di comunicazione al
pubblico” in ipotesi ben più articolate (vedi ad esempio The Pirate Bay e
Filmspeler).