DIRITTO DELL'UE E INTERNAZIONALE - Giurisprudenza

Corte di Giustizia, 27.02.2014, C-351/2012, OSA

Gestione collettiva dei diritti d’autore, monopolio e mercato UE: una sentenza anacronistica


Il caso
OSA, società ceca di gestione collettiva dei diritti d’autore relativi alle opere musicali, agisce in giudizio contro un istituto termale, pretendendo il pagamento dei compensi dovuti per la trasmissione radio/tv di opere protette nelle camere dell’istituto. Per OSA, inoltre, la legge ceca viola il diritto UE perché esclude dal pagamento dei compensi gli istituti di cure sanitarie, con riguardo alle trasmissioni effettuate nell’ambito delle prestazioni sanitarie da loro fornite. L’istituto sostiene al contrario la legittimità dell’esclusione e accusa OSA di abusare della propria posizione dominante (rivendicando anche il proprio interesse a rivolgersi ad un ente di gestione collettiva di un altro Stato UE per ottenere condizioni più favorevoli).  

La decisione della Corte di Giustizia
Innanzitutto, si precisa che l’istituto termale realizza un “atto di comunicazione al pubblico” ai sensi della direttiva 2001/29 e riconosce che la legge ceca viola il diritto UE prevedendo l’esclusione dall’obbligo di pagamento del compenso gli istituti di cure sanitarie, relativamente alle trasmissioni effettuate nell’ambito delle prestazioni sanitarie. Gli altri temi affrontati riguardano la libera prestazione di servizi in tema di gestione collettiva dei diritti e l’abuso di posizione dominante da parte di OSA, monopolista nel mercato ceco. Confermando la natura di “fornitore di servizi” di OSA alla luce del diritto europeo, la Corte riconosce che il monopolio per la gestione collettiva dei diritti d’autore, previsto dal diritto ceco, costituisce una restrizione alla libera prestazione di servizi, perché impedisce agli utilizzatori di opere protette, come l’istituto termale, di rivolgersi ad enti di gestione collettiva situati in altri Stati membri dell’UE. Per la Corte, tuttavia, tale restrizione non viola il diritto dell’Unione Europea, perché è diretta a salvaguardare la tutela della proprietà intellettuale e garantisce una protezione dei diritti efficace, “nel contesto di una protezione territorializzata del diritto d’autore”. I giudici di Lussemburgo, tuttavia, sottolineano più volte che questa valutazione è compiuta “allo stato attuale del diritto dell’Unione”. La Corte sottolinea, infine, che il monopolio nella gestione dei diritti collettivi non è vietato di per sé, ma solo in quanto si traduca in un abuso di posizione dominante (di cui sono indizi sia l’imposizione di tariffe più elevate rispetto a quelle praticate dagli altri Stati membri sia l’eccessivo ammontare delle tariffe rispetto al valore economico delle prestazioni fornite). Spetta al giudice nazionale decidere se l’abuso ricorre in concreto.  

Perché questa sentenza è importante?
La tesi della Corte – contraria a quella espressa dalla Commissione Europea - è coerente con il quadro giuridico esistente fino al febbraio 2014: neanche un mese dopo, infatti, è entrata in vigore la Direttiva 2014/26 sulle collecting societies, che supera e risolve molte questioni qui affrontate.
La Corte sembra consapevole di ciò e rimarca infatti che essa giudica “allo stato attuale del diritto UE”. Più esplicite erano state, sul punto, le conclusioni dell’Avvocato Generale Sharpston, che citavano la (allora) proposta di direttiva collecting. È molto probabile, quindi, che la Corte rivedrà la propria posizione quando ne avrà l’occasione.
Quanto alla questione del monopolio – verso, naturalmente, il diritto UE non nutre alcuna preferenza - Corte e Avvocato Generale ribadiscono che essa è una delle possibili soluzioni, da cui importanti esperienze di altri Paesi europei (Svezia e UK) si discostano da tempo senza pregiudizio per gli interessi dei titolari dei diritti.
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